… era l’inizio di un famoso monologo tratto da Blade Runner, mitico film di fantascienza anni 80. Mai frase è più azzeccata per raccontare la mia faticata sudamericana.
L’avventura inizia già a casa dove da giugno devi inviare all’organizzazione tutti i documenti, visite mediche, licenze e risultati delle gare degli ultimi due anni.
Da settembre in poi iniziano invece i tre allenamenti settimanali in palestra in stile Rocky, l’uscita del sabato in moto nel campetto di motocross vicino casa e l’immancabile IVV (o trail) domenicale, per non farci mancare nulla.
Insomma, arrivi già abbastanza stanco in partenza.
Arrivato a Mar Del Plata, ridente località balneare Argentina, come da sindromi da stress pre maratone / gare di trail impossibili, nei giorni prima dell’evento, oltre a porti un sacco di domande esistenziali e filosofiche tra cui l’immancabile su chi te l’abbia fatto fare, mangi una quantità esagerata di pasta e, nel mio caso, carne argentina e dulce de leche, una dolcissima delizia locale a base di zucchero e latte, spaventosamente pesante.
Ho fatto però in tempo anche a fare surf sulle onde dell’Atlantico, che anche d’estate è gelato.
Superati i controlli amministrativi e tecnici il 31 Dicembre ti concedi il lusso di festeggiare alle 8 di sera, al sole, il capodanno italiano e, visto che la partenza della prima tappa era programmata per le 6 del giorno dopo, vai a dormire alle 9, tra botti e festeggiamenti.
L’indomani mattina, prima della partenza, mio padre, di anni 56, candidamente, mi sussurra di stare attento e di non andare troppo forte perché l’obiettivo (e il suo sogno) è quello di arrivare insieme al traguardo.
La partenza è qualcosa di spettacolare: come all’ultimo km di una maratona, ai lati ci sono ali di folla impazzita che grida per autografi e foto. Neanche fossi Superman.
La prima tappa, dopo una impegnativa prova speciale (il tratto cronometrato totalmente in fuoristrada) di “soli” 50km di spiaggia, scogliere e piccole dune, prosegue con 756 km di trasferimento su asfalto. La regione attraversata è quella della Pampa, termine che in Quechua vuol dire “pianura”.
La noia la fa da padrona, la strada è sempre dritta, ma gli immensi campi di girasole e i vasti campi coltivati a mais rendono il viaggio più piacevole.
La notizia della morte di Jorge Boero, un motociclista argentino, al termine della prima tappa per una brutta caduta, ci riporta alla mente la pericolosità della Dakar e in genere degli sport motoristici.
Ciò che rende difficile una Dakar, oltre all’ affrontare terreni insidiosi, è sicuramente mantenere il ritmo della gara: per due settimane, dalla prima tappa all’ultima, la tua vita è scandita da orari e necessità.
La tua “giornata tipo” è: dalle 4 alle 5 del mattino: sveglia e colazione
dalle 5 e 30 alle 6: vestizione e preparazione del camel bag (2 litri d’acqua e integratori)
dalle 6 alle 7: partenza del primo tratto di trasferimento su asfalto (il tuo orario e posizione in partenza è regolato dalla classifica di tappa del giorno prima)
dalle 8 alle 10: partenza della prova speciale in fuoristrada
dalle 16 alle 19: fine prova speciale e arrivo al bivacco, sempre se la moto non ti ha dato problemi e tu hai tenuto un passo regolare di gara
Dopo il tuo arrivo devi dire ai meccanici se la moto è intera e che problemi ha, farti una doccia (quasi sempre fredda, sigh), prendere il road book (rotolo di carta indispensabile per navigare) e sottolinearne le parti più importanti della tappa del giorno seguente, andare al briefing delle 8, mangiare (c’era un ricco buffet, aperto ad ogni ora della notte), preparare la tenda, sacco a pelo e dormire. Non si può quindi perder tempo!
Le possibilità di finire una gara così intensa sono pari alle tue ore di sonno. Inoltre devi essere abituato a dormire nella polvere e di fianco a fastidiosi generatori delle auto e dei camion, che funzionano tutta la notte.
Bisogna assolutamente evitare di arrivare di notte, e cioè dopo le 9 di sera: le dune sembrano più alte, non vedi nulla, sei stanco, l’elicottero non vola e quindi, se cadi e ti fai male, non arriva. Insomma, un incubo.
Dopo il tratto in stile Milano – Napoli in asfalto della prima tappa, le quattro seguenti in Argentina sono state assai impegnative. Le prove speciali erano un susseguirsi di attraversamenti di fiumi in secca (o di piccoli guadi), canyon o tratti sabbiosi in lunghe gole all’ombra, con molte pietre.
Durante la seconda tappa, dove ahimè il mio compagno di squadra si è ritirato perché una macchina gli è passata sopra la moto, c’era da percorrere un tratto di dune grigie, che a prima vista sembravano delle immense balene.
A 30 km dall’arrivo mi sono fermato 5 secondi a riprendere fiato e a bere. Arriva mio padre, si ferma, mi chiede se va tutto bene. Dopo aver risposto di si, lui, come se niente fosse, mi dice: “Beh, allora perché non parti? Ci vediamo all’arrivo!”. Poi riprende a tutto gas.
Il 23 enne beffato dal padre 56 enne. Questa è una sfida!
La terza tappa è stata un vero inferno: canyon rocciosi e pieni di fesh fesh. Il fesh fesh è la “sabbia” sudamericana: odiata da tutti e incubo dei motociclisti, è una sabbia scivolosissima e finissima, molto simile al nostro Borotalco.
Può essere bianca o grigia, ed è talmente soffice che la tua moto può affondare in piano e perfino in discesa. Non solo è infida ma è anche polverosa, intasa i filtri e ti entra anche nel casco.
Durante la terza tappa, ho aiutato mio padre (in quad!) ad uscire da una buca di fesh fesh. Tirare fuori un quad insabbiato mi aveva fisicamente provato e i due litri che avevo nello zaino stavano finendo. Dopo 10 km esco dal canyon e vedo una macchina dei medici. Mi fermo a chiedere dell’acqua.
Non potete immaginare la mia faccia quando mi hanno risposto che l’acqua che avevano era solo per i radiatori. Mi hanno consigliato di arrivare fino al primo controllo di passaggio, che era vicino (85 km, sigh!), e così, maledicendoli, sono riuscito a finire.
La quarta e la quinta sono filate via bene, senza particolari problemi. Alla fine della lunga quinta tappa mi supera un inglese che teneva un ritmo indiavolato.
Dopo 5 km ho trovato lui per terra e la sua moto su un albero! L’ho aiutato e gli ho tirato giù la moto a mano.
Alla Dakar devi essere sempre vigile e la stanchezza ti frega, a volte.
Lo sfortunato motociclista se l’e cavata con qualche botta e io mi sono guadagnato una birra gratis.
La sesta tappa, fortunatamente, è stata annullata, per via della neve. Ma ciò non ha tolto i 600 km di trasferimento tra l’Argentina e il Cile, dove si doveva salire da 1200 m a 4750 m di altitudine, dove c’era la dogana.
Faceva così freddo che avevo due magliette di lana, la giacca e i guanti da sci! Passavi dai 35 gradi ai -5.
L’organizzazione metteva a disposizione delle stazioni di ossigeno, nel caso qualcuno ne avesse bisogno. Ho subito pensato a mio padre, ma, a quanto pare, non ne ha usufruito!
La tappa prima del giorno di riposo (la settima) è da sempre contrassegnata dalle dune e così è stato. Non immaginavo però la quantità enorme di pubblico che veniva ad incitarti e aiutarti in caso di insabbiamenti: ci saranno state migliaia di persone pronte a darti da bere o a tirarti fuori dalla sabbia, quasi ad ogni km.
Alla fine del primo tratto di sabbia c’era un guado melmoso e molto profondo da attraversare e c’era da spingere la moto a piedi, sperando che l’acqua non entrasse nel motore.
Superato il guado, ho incontrato su un pezzo d’ asfalto mio padre, felicissimo che fossi sopravvissuto. Le dune cilene sono più facili di quelle africane ma ben più spettacolari e più piacevoli da guidare.
Sono arrivato al bivacco col sorriso sulle labbra, da quanto mi ero divertito in ben 600 km di prova speciale.
Il giorno di riposo è un giorno strano: non sai che fare, i meccanici lavorano, quindi vaghi nell’immenso bivacco e scopri macchine o parli con piloti che prima non avevi nemmeno notato, oltre che a mangiare a pranzo, cosa che non ti è possibile quando sei in gara.
Le tappe cilene sono assai sabbiose e ,dopo il giorno di riposo, l’organizzazione si è messa d’impegno per farci affondare in un mare di fesh fesh, e nel mare vero e proprio, visto che molti pezzi di prova speciale erano su enormi e lunghissime spiagge.
Il pubblico cileno, sempre caloroso, ci sostiene nelle nostre fatiche.
Durante L’ottava tappa però abbiamo trovato anche dei difficili tratti in montagna sulle Ande, con tratti di dune dopo qualche km. Credo che il Cile sia uno dei pochi posti al mondo dove trovi delle dune sia al mare che in montagna, con una varietà di colori della sabbia impressionante: rosa, grigia, bianca, marrone, gialla.
Checco Galanzino, grande viaggiatore ed ultra runner, mi aveva riferito che secondo lui il deserto più bello del mondo è l’Atacama. Beh, io non ho viaggiato tutti i deserti come lui ma devo dargli ragione.
Entrati in Perù il paesaggio non cambia, ma scopri che è un paese più povero rispetto all Argentina e al Cile: la gente in molti villaggi vive in baracche, quasi come in Africa.
Una volta, mentre mi sono fermato ad un benzinaio a far benzina un intero villaggio è uscito per farmi foto e farsi firmare autografi. Una famiglia mi ha chiesto se i loro 10 figli potessero fare la foto con me!
Mi hanno fatto tenere in braccio anche l’ultima nata, di appena 10 mesi!
Purtroppo al km 270 della tappa 11, in un pezzo in piano, stranamente, sono caduto a 70 km all’ora e ho sbattuto la spalla destra sulla strumentazione. All’arrivo mi sono fatto medicare ma il dolore era molto forte.
Pensavo che fosse finita, e che non sarei riuscito a correre le ultime 3 tappe peruviane, molto impegnative.
Fortunatamente con l’aiuto di ben tre antidolorifici al giorno, sono riuscito a sopravvivere e a godermi le imponenti dune peruviane, le più grandi che abbia mai visto.
Ho rallentato il mio ritmo e in due tappe sono stato aiutato da un concorrente italiano, che mi ha rialzato la moto per ben due volte nella sabbia, diventando Santo Subito ai miei occhi.
Mio padre mi guardava come se fossi un extraterrestre, chiedendomi ogni due minuti come stesse la spalla.
Dolorante sono arrivato all’ultima tappa, di soli 36 km di fuoristrada. Quando ne mancavano 13 la mia moto si è spenta e la batteria si è scaricata misteriosamente.
Per 10 minuti, i più brutti del Rally, ho spedivallato pregando affinché il motore ripartisse. Mio padre, già all’arrivo speciale era preoccupatissimo.
Ma, per un aiuto dal cielo, la moto si è riaccesa e sono arrivato al traguardo.
Beh, l’ultimo km è uguale a tutti gli ultimi km che avete mai corso, che siano Maratone, Mezze, 10 km o IVV. Arrivati a Lima, il pubblico impazzisce, è ovunque, ti sembra tutto irreale.
Papà mi abbraccia, è visibilmente commosso. Il mio team manager piange ed è felice.
E la mia Honda è lì, sembra che anche lei sorrida.
Ed anche questa è fatta!