Dopo anni di dubbi ed esitazioni, finalmente un giorno di novembre 2017 mi decido: voglio provare anch’io l’emozione di tagliare il traguardo di una maratona. Subito le mie figlie mi propongono: “Papi, fai quella di New York così veniamo anche noi e ti aspettiamo all’arrivo !”.
Così eccomi qui, alle 6.15 di domenica 4 novembre 2018 A.D. nella hall dell’albergo di Times Square ad attendere il pullman che mi porterà al traghetto per Staten Island.
La mia partenza è alle 10.40 e nonostante i 52.000 partecipanti e i numerosi controlli non ci sono code tranne che per accedere ai bagni chimici. Tutto è organizzato alla perfezione e basta seguire le frecce con il colore del proprio pettorale per trovarsi nel Corral (recinto) assegnato. Purtroppo non sono nella stessa wave di Paola, Frank, Gigi, Ezio e degli altri orange ma fortunatamente è una giornata di sole, altrimenti non so come saremmo partiti bagnati dopo due ore sotto la pioggia.
Mancano 30′ e dall’altoparlante i runner del mio Corral vengono chiamati alla partenza. Ormai ci siamo, sta arrivando il momento che aspetto da un anno.
Viene cantato l’inno americano e un colpo di cannone dà il via alla corsa, mentre gli altoparlanti diffondono a tutto volume l’inconfondibile voce di Frank Sinatra che canta “New York, New York”: start spreading the news… Che emozione !
Pronti-via e inizia subito la salita del ponte di Verrazzano. Il colpo d’occhio è impressionante: un fiume colorato di maratoneti che si snoda sotto gli occhi entusiasti di poliziotti e volontari. Non faccio in tempo ad arrivare in cima che già sento il boato degli spettatori proveniente da Brooklin. Inizio la discesa e l’impatto con la città è oltre ogni mia aspettativa. Dai vari racconti ero preparato all’entusiasmo dei newyorkesi verso la loro maratona, ma non è niente in confronto a quello vedo: si corre tra due muri di folla che urla, applaude, incita, grida il tuo nome scritto sulla maglia…
Dopo Brooklin entriamo nel Queens, dove il tifo è ancora più assordante. Se ti metti a camminare subito ti incitano a non mollare e a ripartire. Credo che, se potessero, entrerebbero sul percorso per spingerti fino all’arrivo. Mentre corriamo veniamo accompagnati continuamente da musica di tutti i generi (alla fine mi dicono che in 42km c’erano più di 100 band ). Impressionante anche il numero di persone che agita cartelli, due su tutti: GOOD NEWS ! JESUS SAVES ! e JESUS DIED FOR YOU. Passiamo davanti a una chiesa dove all’esterno un gruppo di almeno 50 coristi in abito da cerimonia canta brani gospel.
Saliamo sul Queensboro Bridge e comincio ad avvertire stanchezza e un po’ di freddo. Il panico mi assale… oddio e se non riesco a finirla ? Manca ancora così tanto. Decido quindi di camminare per riposarmi un po’ mentre la gente mi urla “Go, Massimo Go ! Don’t give up !”. Li abbraccerei uno ad uno se ne avessi le forze.
Attraversiamo il Bronx, poi Harlem e scendiamo a Manhattan lungo la 5th Avenue. Entriamo a Central Park correndo tra due ali di folla che sta urlando da ore. Ormai mancano solo 2km, dai che ce la faccio ! L’entusiasmo mi spinge per gli ultimi 300m in salita, batto il cinque a un poliziotto ed ecco che taglio il traguardo. Una volontaria mi mette la medaglia al collo e con il sorriso più bello del mondo mi dice “Congratulations!”. Poi l’abbraccio delle mie figlie mi ripaga di tutta la fatica fatta. Ne è valsa veramente la pena perchè questa giornata rimarrà per me indimenticabile.
P.S. Ops… dimenticavo il mio tempo: 5 h 42′ 48″ ma era la mia prima maratona e non sapevo come gestire le forze e le emozioni. E poi, come dice il Presi: “La prima bisogna solo portarla a casa”.
Comments
1 commentoFranco Fogliani
Nov 14, 2018Bravo Max. sei riuscito a dare una idea di questa corsa, ma è difficile rendere partecipe chi non ha vissuto questa esperienza. Me lo avevano detto che è una corsa unica, più che altro una festa. Adesso ho capito anche perché ci sono tanto iscritti e costa quel che costa. Il tempo non conta, è importante arrivare con ancora una riserva di energia per godersela tutta. Proprio una giornata da P&C. Ho sbagliato a scrivere sulla maglietta il mio nome di battaglia FRANK! invece del mio nome vero. Tanti mi hanno preso per un americano. Quando mi incitavano con GO FRANK rispondevo CIAO GRAZIE.